Oggi Giuseppe De Rita scrive sul Corriere della Sera di Roma. E’ sempre interessante leggere le sue analisi, perché frutto di intelligenza acuta e cultura profonda. Lo faccio da anni, con piacere. Oggi però la sua lettura della crisi di Roma mi ha deluso. Le quattro piaghe che individua (turismo e offerta turistica mediocre; corsa al low cost; disfacimento del ceto impiegatizio e “quota stabile di cinica moltitudine urbana”) non mi convincono nel profondo. Non che non costituiscano un problema, ma nella classifica dei problemi non mi sembrano i primi quattro e poi contengono una dimenticanza di fondo: le responsabilità delle élites, del ceto borghese, dei ricchi, dell’intellighenzia, della classe dirigente (non solo politica) che ha governato la città per decenni (e la governa tutt’ora).
Che il ceto impiegatizio sia mutato, è una costatazione più che una piaga ed è mutato antropologicamente insieme alla società circostante; premesso che non ho alcuna nostalgia per l’impiegato di sordiana memoria (il protagonista di “un borghese piccolo piccolo”) bisognerà piuttosto ragionare su quella generazione e il suo culto del “posto statale”, con la sua visione del lavoro e “dell’intermediazione tra Stato e cittadino”. Ma chi ha responsabilità se l’operoso impiegato si è trasformato nello smartphone dipendente, anestetizzato dinanzi alla Tv (spazzatura)?
L’esplosione turistica è frutto di tanti fattori, ma soprattutto della meraviglia di cui siamo coeredi: Roma. Che abbia preso la strada che De Rita illustra non è certo colpa di chi mette a frutto la seconda casa guadagnando con i B&B o dei nuovi cittadini che aprono negozietti ovunque per vendere oggettistica ai turisti. Il fatto che il grande centro storico della nostra città si stia trasformando (in maniera scellerata) in un fast-food & B&B a cielo aperto è responsabilità innanzitutto di chi con le sue azioni e le sue omissioni ha permesso che questo accadesse: politici, imprenditori, uomini di cultura, ordini religiosi…
La corsa al low cost mi appassiona di meno: è vero, esiste, ma mai come oggi abbiamo la possibilità di scegliere tra ciò che riteniamo di maggior qualità (basti pensare a tutto ciò che è bio ecc.)
Su la “quota stabile di cinica moltitudine urbana”, divenuta “strutturale quindi non facilmente gestibile e superabile” il problema è evidente. Ma che fare? In questi decenni a parte ricorrenti campagne di “tolleranza zero” su cui si è speso articoli, denaro e tempo e i cui risultati (nulli) sono sotto gli occhi di tutti, non si è vista una novità degna di nota.
Ma dove sono le idee, le proposte? Chi ha voglia di sporcarsi le mani con Roma? Quali imprenditori, uomini di cultura, intellighenzia ha voglia di impegnarsi per Roma? Chi ha voglia di uscire dal suo bozzolo (o impero) di benessere, considerazione, riconoscibilità, per mischiarsi e dare un contributo?
Non dico l’uomo della provvidenza, non cerco il genio da osannare, non l’idea spot buttata li…
Qualcuno che ha voglia di confrontarsi, di discutere, di impegnarsi, forse di sputtanarsi un po’ per il bene di questa città. Per trovare insieme l’unguento per curare queste e altre piaghe di Roma (a mio avviso più gravi e profonde) bisogna ragionare sull’idea di città che vogliamo.
Ma chi è disposto a mettere da parte la lagna e cominciare a farlo?