Aprire le porte di Rsa e case di cura come è stato fatto per i manicomi e ripensare il modello di istituzionalizzazione delle persone anziane per evitare sofferenze inutili ai pazienti e alle famiglie. È questa la sfida contenuta in una mozione presentata alla Regione Lazio da Paolo Ciani (Demos).
L’epidemia di coronavirus ha squarciato una realtà di sofferenza e isolamento, per lo più misconosciuta, di cui non si parla o rispetto alla quale si prova vergogna: le residenze per anziani non più autosufficienti. Il numero di contagi e di morti all’interno delle Rsa e delle case di cura ha scoperchiato una realtà sempre lontano dai riflettori, facendo aprire una riflessione su come cambiare il modello fino a qui adottato e le regole e i controlli a cui sono sottoposti i privati che gestiscono queste strutture con soldi pubblici.
Ora in aula alla Regione Lazio arriva una mozione per chiudere questo tipo di strutture, cambiando radicalmente il modello di cura dei nostri anziani. “Se abbiamo chiuso i manicomi e gli orfanotrofi possiamo farle anche con questo tipo di case di riposo”, spiega Paolo Ciani di Democrazia Solidale.
Il consigliere regionale parla di “istituzionalizzazione”, paragonando a luoghi che evocano solo l’immagine di sofferenza e abbandono, indicando la strada di Franco Basaglia per i manicomi: aprire le porte di questi luoghi, far tornare nella normalità della vita collettiva uomini e donne separate dal mondo.
“È emerso chiaramente che le attuali strutture, pensate per offrire una vita protetta a persone fragili, si sono rivelate contesti che hanno favorito la diffusione dell’epidemia tra le persone da proteggere come pure tra il personale dedicato alla loro assistenza.
Nel nostro Paese nel tempo si è riflettuto e dibattuto molto sulla possibilità di superare modelli di istituzionalizzazione che apparivano assolutamente conformi e adatti alle persone per cui erano stati pensati, e in base a tali dibattiti si è arrivato alla chiusura dei manicomi e degli orfanotrofi, e alla nascita di nuove modalità di accoglienza per le persone che vi abitavano”.
Un approccio diverso verso la sofferenza e l’ultima fase di vita delle persone anziane, apre però il problema di un intervento da parte delle istituzioni e del legislatore, per stabilire strumenti nuovi e soprattutto finanziarli, così da essere in grado di garantire la cura senza privarli degli affetti. “Le possibilità sono molteplici – aggiunge – basta che ci sia la volontà politica. Dobbiamo spingere verso la domiciliarità, con housing sociale pubblico o privato, residenzialità leggera, condomini protetti, case famiglia, microaree. Un approccio più umano per gli anziani e le famiglie interessate e più sostenibili dal punto di vista economico per le amministrazioni pubbliche”.
Le case di cura potrebbero smettere così di fagocitare vite che devono ancora essere vissute. “Il modello attuale si concentra infatti esclusivamente sulle persone con grave compromissione dell’autosufficienza e non tiene conto dei molteplici aspetti della domanda di assistenza così come viene espressa anche da soggetti a rischio di perdere l’autosufficienza”, si legge nel dispositivo che propone di adottare nuovi strumenti di residenzialità e che sottolinea così un aspetto importante.
In queste strutture finiscono anche uomini e donne che potrebbero benissimo vivere in situazioni assistite ma non medicalizzate, vicino ai loro cari, in casa propria o in casa con altri anziani.
La delibera, che sarà votata e discussa in consiglio regionale, è un primo passo per aprire la strada a una discussione che dovrà vedere coinvolti evidentemente gli operatori del settore, le istituzioni locali e le istituzioni sanitarie. Ma da qualche parte bisogna sempre cominciare.
Fonte: https://roma.fanpage.it/
vedi anche su https://www.democraziasolidale.it/