Presto potranno avere un medico di base anche quanti non hanno una fissa dimora. Lo prevede una proposta di legge approvata all’unanimità alla Camera dei deputati. “Questa legge non solo restituisce il pieno diritto alle cure a decine di migliaia di persone, che finalmente sapranno che lo Stato non le ha abbandonate. E che uscire da una condizione di fragilità è possibile”, ha dichiarato l’autore della proposta di legge, il deputato Marco Furfaro del PD, aggiungendo che in questo modo “la politica riesce a dare di sé l’immagine più bella, quella che cambia la vita delle persone in meglio”.
E’ previsto uno stanziamento di 1 milione di euro per il 2025 ed il 2026 per garantire l’assistenza sanitaria di base a tutti coloro che sono senza fissa dimora. Il provvedimento, che si compone di soli tre articoli, pone rimedio ad una falla del sistema di welfare, allineandosi ai principi costituzionali del diritto di uguaglianza (articolo 3) e del diritto alla salute (articolo 32). Attualmente, chi non è iscritto all’anagrafe perde anche il diritto all’assistenza sanitaria, fatta eccezione per l’assistenza in pronto soccorso. Il problema non riguarda solo i clochard, ma anche soggetti fragili, come padri di famiglia separati, che s ritrovano a vivere in auto, o donne vittime di violenza, che scappano di casa e vanno a vivere da amici, o più in generale persone che perdono il lavoro e finiscono a dormire in strada.
Negli angoli oscuri delle nostre città, lontano dagli sguardi della maggioranza, infatti, vive una comunità invisibile e vulnerabile: i senza fissa dimora. Questi individui affrontano una serie di sfide quotidiane, tra cui la fame, il freddo e l’isolamento sociale, ma una delle sfide più gravi è l’accesso limitato all’assistenza medica adeguata.
I senza fissa dimora sono esposti a condizioni ambientali estreme, malnutrizione e rischi per la salute fisica e mentale. La mancanza di cure mediche regolari rende queste persone particolarmente vulnerabili a malattie croniche, infezioni e lesioni. Inoltre, le barriere linguistiche, la mancanza di documenti e la diffidenza verso le istituzioni rendono difficile per loro accedere ai servizi sanitari di base.
Una delle principali sfide per i senza fissa dimora è l’accesso limitato alle cure mediche primarie. Molte strutture sanitarie richiedono documenti di identità, indirizzi fissi o piani di assicurazione sanitaria, requisiti che spesso escludono chi vive per strada. Anche quando queste persone riescono a raggiungere un ospedale o un centro medico, possono affrontare discriminazioni o ricevere cure inadeguate a causa della loro situazione di senza dimora.
Fortunatamente, ci sono iniziative e organizzazioni che si impegnano per migliorare l’accesso alle cure mediche per i senza fissa dimora. Molte cliniche mobili, operatori sanitari di strada e volontari offrono assistenza direttamente nelle comunità dove risiedono i senza dimora. Questi servizi non solo forniscono cure mediche di base, ma anche supporto emotivo e risorse per migliorare la qualità della vita di queste persone.
Per affrontare efficacemente il problema dell’assistenza medica per i senza fissa dimora, sono necessari sforzi coordinati a livello governativo, comunitario e sanitario. È essenziale ridurre le barriere all’accesso, ad esempio semplificando i requisiti di documentazione, ampliando i servizi di trasporto per raggiungere le strutture sanitarie e formando il personale medico sull’importanza della sensibilità culturale e sociale.
Ognuno di noi può contribuire a migliorare la situazione dei senza fissa dimora. La sensibilizzazione pubblica, il volontariato presso le cliniche mobili o le organizzazioni di assistenza, e il sostegno alle politiche che promuovono l’uguaglianza nell’accesso alle cure mediche sono passi cruciali verso un cambiamento positivo.
Il problema dell’assistenza medica ai senza fissa dimora è una questione di giustizia sociale e umana. Tutti hanno diritto a cure mediche adeguate, indipendentemente dalla loro situazione abitativa. Affrontare questa sfida richiede un impegno collettivo per assicurare che nessuno venga lasciato indietro, e che tutti possano godere del diritto fondamentale alla salute.
L’intervento di Paolo Ciani, vicecapogruppo del gruppo PD-IDP Camera Deputati e segretario DEMOS
La proposta di legge in materia di assistenza sanitaria per le persone senza dimora, proposto dal collega Marco Furfaro e sottoscritto anche da me e da altri colleghi, è una proposta seria e importante che rappresenta una sfida complessa e urgente allo stesso tempo. Com’è facilmente intuibile la mancanza di una residenza stabile comporta, infatti, gravi difficoltà per le persone nell’accedere ai servizi sanitari, con conseguenze negative sia per la loro salute che per il sistema sanitario nel suo complesso.
È per tale motivo che la legge intende affrontare con coraggio e determinazione queste criticità, proponendo un quadro che garantisca l’accesso equo e continuativo ai servizi sanitari per le persone senza dimora. L’accesso ai servizi sanitari, infatti, è un diritto fondamentale, previsto dall’articolo 32 della Costituzione. Tuttavia, per le persone senza dimora questo è un diritto spesso difficile, se non impossibile, da esercitare.
Uno degli elementi più evidenti della condizione di emarginazione sociale delle persone senza dimora è il fatto che esse non abbiano il requisito della residenza anagrafica – ma su questo tornerò successivamente -, l’assenza del quale rappresenta un ostacolo per accedere a tanti servizi fondamentali, tra cui il Servizio sanitario nazionale. La mancanza di una residenza stabile rappresenta, dunque, una barriera significativa che impedisce a queste persone di accedere alle cure mediche necessarie, se non in pronto soccorso, e soprattutto alle cure di cui hanno diritto.
È necessario e importante colmare questo garantendo che ogni individuo, senza alcuna discriminazione di sorta e indipendentemente dalla sua condizione abitativa, possa usufruire di un’assistenza sanitaria adeguata e dignitosa.
Queste persone – perché è opportuno ricordarci sempre che parliamo di persone – vivono in condizioni estremamente precarie, spesso aggravate da gravi problemi di salute fisica e mentale che sono causa o conseguenza della condizione in cui si trovano.
Ma, al di là del romanticismo con cui spesso si descrivono le persone senza dimora, molto sovente parliamo di persone che hanno avuto un incidente nella vita: padri separati, lavoratori licenziati, imprenditori falliti, percettori di pensioni minime e la platea, soprattutto dopo la pandemia, è andata, purtroppo, via via crescendo. Queste persone non vivono solo la tragedia di non avere un tetto o un letto proprio sul quale dormire: una volta in strada, in macchina, sotto un ponte o da amici, rischiano di perdere i propri diritti e, tra questi, il diritto alle cure. Infatti, una volta che una persona finisce in strada, a seguito di accertamenti può perdere la residenza e viene cancellata dall’anagrafe del comune, diventando spesso per i servizi invisibile.
Senza un intervento mirato – e questa legge vuole andare in questa direzione – le loro condizioni possono solo peggiorare, andando ad alimentare un circolo vizioso di marginalizzazione e solitudine difficile da recuperare.
È pertanto indispensabile creare un sistema che risponda in modo efficace e umano a queste necessità, perché – ricordiamocelo – rimane “compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”, e questo non lo dico io ma lo enuncia l’articolo 3 della Costituzione.
In Italia, secondo l’ultimo rapporto dell’Istat, ci sono circa 96.000 persone senza dimora, di cui il 62 per cento di nazionalità italiana. Questo numero, già di per sé impressionante, potrebbe essere sottostimato a causa delle difficoltà intrinseche nel censire una popolazione mobile e spesso nascosta. In questo senso, è molto interessante quello che sta facendo in questi mesi il comune di Roma che, insieme all’Istat e ad alcune realtà pubbliche che si occupano di statistica e di censimenti, sta effettuando, nel tempo e su tutta la superficie del comune di Roma, un censimento delle persone senza dimora. Infatti, per dare i giusti servizi e le giuste risposte bisogna conoscere.
Permettetemi di fare qui un inciso sul tema della residenza e del diritto alla residenza, perché purtroppo – e qui lo dico sorridendo perché non è colpa del Governo che ci governa oggi, essendo un tema che va avanti da molti anni – il tema del diritto alla residenza è, a mio avviso, uno degli esempi di come ci sia stata nel nostro Paese una contrazione nella concessione dei diritti. Infatti, il diritto alla residenza porta con sé una serie di diritti principali e fondamentali, e lo dico oggi che siamo all’indomani di una tornata elettorale. Uno dei diritti che dà la residenza, per esempio, è il diritto di voto, oltre che quello di curarsi e alla salute. E spesso, purtroppo, tanti nostri concittadini perdono il diritto alla residenza perché negli anni e nel tempo quello che è un diritto fondamentale è diventato, per la nostra cultura e anche per la cultura giuridica, non un diritto ma una concessione. Su questo invito tutti a riflettere. Abbiamo riflettuto molto anche con l’onorevole Furfaro nell’estendere questa legge, perché è evidente che, se noi avessimo risolto per tempo il tema della residenza anagrafica, non ci sarebbe stato bisogno di una legge di questo tipo, dal momento che chi è residente può avere accesso al medico di base. Il fatto che oggi tanti nostri concittadini non siano residenti anagraficamente è frutto del fatto che quello che è un diritto è diventato una concessione, ma questo è uno stravolgimento del diritto. Infatti, basti pensare che per l’ordinamento italiano la residenza non si chiede ma si dichiara.
Quindi, per esempio, agli inizi della Repubblica e nel secolo scorso tutti i comuni avevano quella che si chiamava “via della casa comunale”, cioè un indirizzo presso cui le persone povere, senza dimora, che in quel momento non avevano una casa, potevano dichiarare la loro residenza. Nel tempo questo è cambiato e si è arretrati sulla concessione di un diritto fondamentale. Alcuni comuni hanno trovato una soluzione alternativa: anche qui mi piace parlare della capitale d’Italia, perché è la città con il più grande numero di abitanti e, di conseguenza, anche di senza dimora e già da tanti anni ha inventato una residenza virtuale, peraltro intitolandola a una donna senza dimora, Modesta Valenti, morta alla stazione Termini perché si era sentita male e l’ambulanza quando arrivò, trovandola sporca, non la soccorse in tempo.
Dunque, quanto c’entra ciò anche con la legge che oggi andiamo ad affrontare e quanto è bello e importante ricordare la figura di Modesta Valenti e, con lei, quella di tante donne e di tanti uomini che in questi anni hanno perso la vita in strada, anche perché non hanno avuto il diritto alla residenza e il diritto alla salute.
Quindi, occorre creare una residenza virtuale e non fittizia. Prego sempre tutti i colleghi e gli addetti ai lavori di cogliere la differenza, perché il termine “fittizio” pone il tema di un imbroglio. In realtà, è una residenza virtuale che i comuni concedono a coloro che, in un determinato momento, si trovano nell’impossibilità di avere una dimora e un’abitazione ma devono avere, invece, tutti i diritti che derivano dalla residenza.
Purtroppo, però, non tutti i comuni italiani hanno attivato questa formula e l’idea della residenza virtuale e, quindi, noi ci troviamo ancora oggi con tanti nostri concittadini senza residenza. Per questo, per permettere loro di usufruire di tutti i diritti che gli spettano, questa norma è importante.
Torno alla norma. Come dicevo, i dati rivelano che la maggior parte dei senza dimora nel nostro Paese sono uomini, ma il numero delle donne e dei minori senza casa purtroppo è in aumento.
Un segnale allarmante, che non può più rimanere solo un dato su cui dibattere, ma un punto di inizio di politiche nuove, sociali e sanitarie, concrete. E su questo vorrei dire qualcosa anche ai medici che noi, oggi, interpelliamo con questa norma; so che qualcuno si sta interrogando per capire come poi ci sarà una ricaduta sui medici di medicina generale. È evidente che questa norma va a coprire un diritto principale, ma poi dovremo sostenere e anche accompagnare i medici di medicina generale, che probabilmente si troveranno ad affrontare la realtà di persone la cui vita in strada ha reso loro anche una vita difficile, e quindi accompagnarli, anche attraverso uno scambio con i servizi sociali, i servizi territoriali e l’associazionismo, citato anche dal collega Furfaro. Dovremo creare una rete intorno ai medici di medicina generale, per aiutarli in questo nuovo e importante compito che questa norma gli attribuisce.
Troppo spesso le persone che si trovano a vivere in una situazione di estrema vulnerabilità, come le persone che vivono in strada, sono particolarmente esposte, dal punto di vista sanitario. Pensiamo solo alle condizioni climatiche avverse, pensiamo alle violenze, agli abusi, alla malnutrizione e all’impossibilità spesso anche di curarsi o di fare piccoli interventi. In questo senso, vorrei sottolineare – la Presidente capirà la passione con cui seguo, da tanti anni, queste vicende – che ci sono esperienze molto virtuose in alcune nostre città. Penso ad alcuni ospedali che hanno dedicato padiglioni dismessi all’ospitalità di pazienti senza dimora in dimissione, perché noi sappiamo bene – il Sottosegretario lo sa, perché è una persona di sanità, quindi conosce bene il problema – che spesso, quando un senza dimora è ospitato in una struttura ospedaliera, al momento della dimissione, non avendo una casa in cui poter tornare, c’è un tema di come potrà affrontare quei primi giorni di dimissione. Alcune città – anche qui, permettetemi, sono un della mia città, però è importante che la capitale d’Italia dia risposte – stanno creando strutture, in accordo con le strutture ospedaliere, di riconversione di alcuni padiglioni dismessi degli ospedali proprio per ospitare le persone in dimissione. Lo ha fatto il Policlinico Gemelli, lo ha fatto l’Ospedale San Giovanni, lo stanno per fare nuove strutture ospedaliere. Ed è una cosa molto intelligente, perché altrimenti, oltre a mettere a rischio la vita dei pazienti senza dimora che escono dagli ospedali, c’è il tema anche di non farli tornare rapidamente al pronto soccorso.
Sono una serie di misure che partono dalla realtà della fragilità delle persone e per questo sono particolarmente importanti. Tutti noi abbiamo sentito, in questi anni, purtroppo, e ci siamo scandalizzati, siamo dispiaciuti nel leggere sui giornali di persone senza dimora che muoiono per il freddo o per il troppo caldo, ma credo e penso che questa sia un’occasione che, come Parlamento, e quindi come Paese tutto, dobbiamo sfruttare. Dobbiamo recuperare un po’ il tema dell’empatia con gli altri, cioè, in questo tempo, mi sembra che, purtroppo, ci siamo troppo abituati – dico come Paese, come società – alla sofferenza degli altri. È come se quello che accade a chi è accanto a noi, se non ci tocca personalmente, ci preoccupa e ci scandalizza meno che in passato; direi una sorta di normalizzazione del disagio, del dolore, talvolta anche della morte, che troppe persone patiscono. Basta pensare a quello che sta accadendo anche con la maggiore fonte di distruzione e morte, che è la guerra, quello che è il più grande dei mali. Purtroppo, l’accrescersi di notizie è come se creasse assuefazione, e si rimane assuefatti di fronte al dolore degli altri, tanto che qualcuno tende a normalizzare anche il demone della guerra. Ma non c’è niente di più grave, a mio avviso, del cadere in questa trappola.
Credo che solo riconoscendoci nell’altro, e anche nell’altro, nella sua sofferenza, possiamo riuscire a mettere in campo azioni e politiche che siano di sostegno, non solo perché un giorno quella persona potremmo essere noi – mi ha sempre colpito di come succede che in strada si incontrino anche compagni delle medie, delle elementari, del liceo, perché la vita talvolta prende pieghe inattese, inaspettate -, quindi, non solo perché potremmo essere noi o qualcuno che conosciamo, ma perché, evidentemente, è dovere della politica, e quindi innanzitutto nostro, essere accanto a tutti, soprattutto a coloro che non hanno gli strumenti per poterlo fare da soli. In questo senso, ancora di più quando parliamo di sanità, cioè di presa in carico, di cura, di assistenza. Proviamo a pensare se noi o qualcuno dei nostri cari non potessimo consultare in termini rapidi, veloci, un medico quando siamo in difficoltà, quando abbiamo una malattia, quando abbiamo un dolore, quando c’è qualcosa che non va, anche solo per capire cosa ci sta accadendo. Quante volte succede a ognuno di noi. Dobbiamo provare a trasferire ciò anche sulla vita di tante persone che vivono una realtà diversa dalla nostra.
Peraltro, questo è un tema che le istituzioni locali e gli amministratori locali – e tanti tra noi lo sono stati – conoscono bene, essendo le istituzioni di prossimità che ogni giorno hanno a che fare con la marginalità sociale, e quindi con le persone che vivono la marginalità e le conseguenze che impattano sulle comunità. Per questo, anche sotto la spinta di associazioni, le citava prima il collega Marco Furfaro, cattoliche, laiche, di volontariato, che da anni operano sul tema e chiedono di migliorare questa realtà, per trovare soluzioni a questa, che in alcuni casi è una vera e propria ingiustizia, già alcune regioni, come Puglia, Emilia-Romagna e Abruzzo, hanno approvato leggi per assicurare ai senza dimora il medico di base. Si tratta di leggi approvate in modo trasversale dalle forze politiche di maggioranza e di opposizione, lo diceva il Sottosegretario. Anche qui, in Commissione, tra noi, abbiamo provato e siamo riusciti a fare un percorso comune proprio partendo dalla realtà del bisogno delle persone. Sono misure che assicurano il diritto all’assistenza sanitaria territoriale alle persone senza dimora attraverso l’assegnazione di un medico. È evidente che una norma nazionale avrà rango maggiore e più efficace rispetto a tante singole norme regionali.
Approvare questa legge, quindi, oltre che rappresentare un atto di solidarietà, di giustizia sociale, di vicinanza dello Stato alle persone più deboli, di riduzione delle disuguaglianze, produrrebbe anche un risparmio per le finanze pubbliche, perché prevenire le malattie, evidentemente, costa meno che curarle. E poi perché sappiamo bene che – e ringrazio sempre il nostro Paese e l’universalità delle cure permesse dalle norme del nostro Paese – è evidente che un accesso improprio al pronto soccorso, perché è l’unica porta che si può aprire a chi vive in strada, costa molto di più di una vicinanza di un medico di medicina generale. Attualmente, infatti, le persone senza dimora possono accedere, chiaramente solo in momenti critici, ai servizi di pronto soccorso, creando quello che spesso è un aggravio e un intasamento degli stessi e con un costo evidentemente aumentato per ogni singolo intervento. Qui non mi metto a dire cifre davanti a esperti, però è evidente quanto questo costo possa aumentare.
Quindi, noi dobbiamo, da una parte, sanare un’ingiustizia, il che è importantissimo, e, dall’altra parte, in un ambito, come quello sanitario, in cui il tema delle risorse economiche è particolarmente importante, prevenire anche un dispendioso utilizzo dei fondi attraverso costi vivi.
Nel merito, vorrei sottolineare anche che trovo molto condivisibile l’impegno della legge a coinvolgere il Governo ed i Ministri competenti nella stesura di linee guida per l’attuazione di programmi di monitoraggio, prevenzione e cura delle persone senza dimora, in concorso con le ASL e le associazioni di volontariato.
Ciò affinché vi sia l’idea di un’azione condivisa – e non – di una progettazione che veda nello Stato il garante e nelle sue articolazioni gli strumenti per mettere in piedi questo progetto. Sappiamo bene come la cooperazione e la collaborazione fattiva tra Stato, enti locali, enti del Terzo settore, volontariato, soprattutto su questi temi della vicinanza alle persone fragili e alle persone marginali, siano particolarmente importanti. Ho visto in tante situazioni come una collaborazione dall’alto al basso – se intendiamo lo Stato come “alto” e le associazioni come “basso”, ma dipende sempre dalla direzione in cui vediamo le cose – sia particolarmente importante e produttiva.
Quel che è certo è che garantire l’accesso ai servizi sanitari per le persone senza dimora non è, dunque, solo una questione di diritto fondamentale, ma un imperativo morale che riflette i valori di dignità e di rispetto per ogni essere umano. Con un impegno che spero possa essere condiviso da tutti e una visione lungimirante, possiamo affrontare questa sfida come Paese, perché – lo dico e lo ripeto in questo momento – una società a misura di fragili è una società migliore per tutti.
Paolo Ciani, Demos
La legge a favore dei diritti sanitari dei clochard e di tante altre persone in difficoltà
“La mia legge per dare il medico di base ai senza dimora è stata appena approvata all’unanimità. Confesso che poche volte nella mia vita mi sono sentito così orgoglioso”, ha scritto sui social l’on. Furfaro, commentando il voto sulla sua legge. “Questa legge cambierà in meglio la vita di tante persone. Sto parlando di padri di famiglia che si separano e finiscono a dormire in macchina, donne vittime di violenza che scappano di casa e vanno a vivere da amici, persone che perdono il lavoro e finiscono in strada e non hanno un tetto sopra la testa. Persone che per vari motivi perdono la possibilità di avere una dimora propria e che purtroppo perdono conseguentemente anche la residenza. E questo comporta il venire meno di un pieno accesso al diritto alle cure perché senza residenza non si può accedere al medico di base (e ai Sert, a un consultorio, a un centro di salute mentale).
Non solo sei povero, non solo sei senza un tetto, lo Stato ti toglie pure il medico di base. E il pediatra ai bambini delle famiglie in difficoltà”.
“Il Parlamento – spiega Furfaro – ha approvato all’unanimità una legge a mia prima firma che sana questa ingiustizia: dal 1 gennaio 2025, finalmente le persone senza dimora potranno iscriversi nei registri delle ASL e accedere al medico di base.
Avverrà prima per tutte le città metropolitane, per poi estendersi ovunque.
Con questa legge – il ringraziamento più grande va ad Antonio Mumolo, Presidente di Avvocato di Strada, che per primo si è battuto per questo risultato – decine di migliaia di persone non solo avranno pieno diritto alle cure, ma finalmente sapranno che lo Stato non le ha abbandonate. E che uscire da una condizione di fragilità è possibile.
Sono felice. Perché così la politica riesce a dare di sé l’immagine più bella, quella che cambia la vita delle persone. In meglio”.
Fonte:
https://www.farodiroma.it/il-problema-dellassistenza-medica-ai-senza-fissa-dimora-non-saranno-piu-dimenticati-dallo-stato-ciani-e-furfaro-spiegano-la-nuova-legge/: IlFaro.it | Intervista Ciani – Furfaro per spigare la legge sul medico per persone senza dimora