Spesso si dice che i bambini sono i
cittadini del futuro, ma in giornate come queste, bisognerebbe riflettere su
quanto sia necessario riconoscergli pieno titolo di cittadini sin dall’infanzia. Solo guardando ai loro bisogni e alle
loro istanze, direi guardando il mondo con i loro occhi e partendo dalla loro
fragilità, le istituzioni saranno in grado di programmare e sviluppare
politiche e azioni sempre più efficaci.
La Giornata internazionale per i
diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ricordando la data in cui venne
approvata all’Onu la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia,
ha la funzione di mettere al centro della riflessione pubblica proprio i
diritti dei più piccoli. E questo è importante, pensando a un mondo in cui in
un anno muoiono circa circa 6 milioni di bambini sotto i 15 anni: 1 ogni 5
secondi, per lo più per cause che avrebbero potuto essere prevenute (come
dimostrato dai rapporti annuali dell’OMS).
Oltre l’80% dei decessi prima dei 5
anni si concentrano in due regioni del mondo, il 50% nell’Africa Subsahariana e
il 30% in Asia Meridionale. In Africa, 1 bambino su 13 muore prima del suo
quinto compleanno. Sono numeri tremendi che mostrano chiaramente la
diseguaglianza e l’ingiustizia: nascere in una parte o l’altra del mondo (pur
non essendo una scelta), rappresenta ancora una condanna. Ma colpisce molto che
il tema della disuguaglianza, anche rispetto all’affermazione dei diritti dei
minori, abbia una sua rappresentazione crescente anche nel nord del mondo e nel
nostro Paese.
Bisogna superare le disparità
territoriali e raccogliere dati su violenza, disabilità, salute mentale,
dispersione scolastica e come proposto anche dal Comitato Onu sui diritti
dell’infanzia e dell’adolescenza nelle proprie raccomandazioni all’Italia occorre “portare
avanti misure urgenti per rispondere alle disuguaglianze regionali rispetto
all’accesso al sistema sanitario, alla lotta alla povertà, alla garanzia di
alloggi dignitosi, inclusa la prevenzione di sgomberi, allo sviluppo
sostenibile e all’educazione in tutto il Paese”.
Ricordiamoci che l’Italia è il
secondo Paese più vecchio del mondo, caratterizzato da bassa natalità in quasi
tutte le regioni, con livelli preoccupanti in Liguria e Sardegna, dove nascono
6 bambini ogni mille abitanti. A Roma preoccupa il dato sull’istruzione: si
stima che quasi il 30% della popolazione romana non abbia nessun titolo di studio
o si sia fermato alla licenza elementare.
Recenti studi hanno analizzato che due terzi dei
bambini con i genitori senza diploma restano con lo stesso livello d’istruzione
della famiglia di origine, dati che appaiono particolarmente gravi nelle
periferie. Nella periferia est di Roma (Municipio VI), ad esempio, si
registrano tassi molto significativi di disoccupazione giovanile e di lavoro in
nero, alto livello di disagio sociale e bassi redditi pro capite. Solo 1
giovane su 2 finisce gli studi e ha un livello d’istruzione considerato
basilare.
Le cause provengono sia da condizioni
di disagio socio-familiare che dall’insufficienza dell’offerta scolastica sul
territorio: nel 2017 sono pervenute al Servizio Sociale circa 102 segnalazioni
di evasione dell’obbligo scolastico e formativo; solo il 2,5% dell’offerta
scolastica romana ha sede nel municipio nonostante vi risiedano oltre 20.812
bambini d’età tra 0-6 anni.
La situazione si ripete in altre
regioni d’Italia, come Milano o Torino dove oltre il 40% dei residenti che
completa gli studi abita nelle zone centrali. A Napoli vediamo un ribaltamento
geografico, dove si studia nelle zone benestanti collinari, ma il dato della
disuguaglianza permane.
È indispensabile avviare una
riflessione strategica rispetto alle politiche per l’infanzia e adolescenza, da
cui derivi l’assunzione di un impegno reale da parte delle istituzioni
competenti per risolvere le criticità ancora insolute.
Preoccupa questa diseguaglianza, tra
un quartiere e l’altro della città, tra nord e sud del Paese, tra cittadino
italiano e straniere: basti pensare ai vergognosi e non isolati casi in cui in
nome dell’autonomia scolastica si rifiuta l’iscrizione dei bambini Rom nella
scuola dell’obbligo.
Forse solo forti investimenti nelle
politiche educative, formative sociali e occupazionali da parte delle
istituzioni possono sanare un gap che non è più concepibile né accettabile
nelle moderne società. Come disse don Milani “se si perde loro (gli ultimi) la
scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati”.
Vi è un forte legame tra povertà,
istruzione e disagio socioculturale. La scuola emancipa dalla povertà, ma le condizioni
di partenza contribuiscono fortemente a determinare a loro volta il fallimento
formativo. La scuola deve rappresentare un vettore di emancipazione per chi
parte più indietro, il fondamento della costruzione di una società che
garantisca diritti e pari opportunità per tutti. La giornata odierna ci aiuti a
lavorare per abbattere i muri di disuguaglianza anche all’interno di medesime
città e Paesi.